Il pugile suonato

Il pugile suonato

Quanto è usata e abusata la metafora. Adattata a gente che non se la merita. Ma stavolta si attaglia perfettamente. È un pugile, il Dibba, una natura combattente. “Il loro Che Guevara”, lo definì Santoro con una punta di sarcasmo. E da Floris ieri sera era suonato, alle corde, senza difese.

Mendicando l’applauso, con quel fare da bambino deluso, ha raffigurato un’iperbole del disorientamento di tutta la classe dirigente del movimento. Non erano pronti a governare, lo fanno come fossero ancora opposizione, lo vedono tutti. E opposizione gli tocca fare rispetto al compagno di avventura.

Vicolo cieco. Sul TAV non hanno maggioranza in parlamento. Una marcia indietro, l’ennesima, l’ultimo rospo che può farli scoppiare, o una crisi di governo di cui caricarsi la responsabilità. Che fare? Qualcuno glielo ha chiesto, al Dibba. Come non chiederglielo! “Troveremo una soluzione,” ha risposto. Ed è andato dritto al tappeto.

Ma perché c’è andato, da Floris? Perché è tornato dalla villeggiatura? Non si è accorto che non era tempo per lui? Pensavo volesse venire e sfasciare ogni compromesso, restituire identità al movimento, tirarlo fuori dal baratro in cui s’è cacciato. E invece? “Troveremo una soluzione…” risposta da cerchiobottista da strapazzo.

Torni un po’ da dov’è venuto, per gli equilibrismi c’è già Giggino che gli mangia in testa. Non si faccia vedere per un po’, così magari qualcuno se lo scorda che non ha la voce potente adatta al vaffanculo, come dice il poeta. E che quando non gira fa perfino pena.

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